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N. 43 del 2 dicembre 2024

SNA funziona così

SNA Flag

A centosei anni di età il Sindacato Nazionale Agenti ha visto scorrere un importante pezzo di storia. Dai paludati signori in cappello a cilindro che firmarono la costituzione dell’Associazione Nazionale Agenti, nel 1919, attraverso un secolo per molti versi buio, ma anche produttivo di grandi innovazioni e crescita economica e sociale, l’associazione degli agenti italiani è arrivata ad essere quella che oggi conosciamo.

La vita di SNA è regolata da uno statuto che, sebbene possa necessitare dell’aggiornamento di alcuni dettagli procedurali, è incardinato su principi che non hanno bisogno di essere interpretati, tanta è la loro chiarezza.

È uno statuto condiviso plebiscitariamente e da questo deriva in parte la solidità e l’autorevolezza dell’associazione: non ci sono vie di mezzo; non ci sono compromessi o scelte di comodo. Tutto ciò che il Sindacato fa o non fa è continuativamente sottoposto all’osservazione ed al giudizio dei propri iscritti, tramite gli organi statutari, a partire dal Congresso nazionale che si celebra ogni anno.

La politica del Sindacato è decisa ed espressa dal Congresso attraverso l’elezione a maggioranza del Presidente e dell’Esecutivo nazionale, con l’approvazione implicita del programma da essi proposto agli iscritti. Questo documento traccia la rotta per i successivi tre anni; una rotta che soltanto lo stesso Congresso può decidere di modificare. Il Comitato centrale vigila sulla corretta attuazione del programma, mentre il Consiglio direttivo verifica l’azione dell’Esecutivo. Le Sezioni provinciali, sul territorio, “realizzano e sviluppano la politica nazionale” ed “attuano gli scopi del Sindacato Nazionale Agenti, applicando lo Statuto”.

Non ci sono dunque meccanismi di maggioranza ed opposizione affidati a rappresentanze ristrette alle quali delegare le scelte: tutto ciò che si decide deve essere coerente con la politica deliberata, in una situazione di democrazia che è molto ampia, se non addirittura universale, nell’espressione della base sociale che può partecipare alle assemblee territoriali, e che diventa rappresentativa man mano che si sale lungo la piramide degli organi di governo.

Non occorre inventare nuovi metodi e canali per far giungere al Congresso le istanze di integrazione o modifica della politica sindacale, né ricorrere all’escamotage di rivolgersi a sostenitori esterni dalla buona penna e dagli indefinibili interessi, né, tantomeno, di adottare lo stile dell’attacco personale, dell’insulto, dell’insinuazione, dell’instillazione del dubbio, che portano inevitabilmente fuori dal percorso istituzionale, non rappresentando neppure una forma di opposizione politica, quanto di semplice e sterile contrapposizione.

L’Assemblea provinciale, cioè la base, decide cosa proporre e lo fa, attraverso i canali statutari, con tutta l’autorevolezza della quale è capace. Ma questo è un altro discorso, sul quale potremo tornare, invitando per ora i Presidenti provinciali a domandarsi se e quanto riescono a creare le condizioni adatte affinché le assemblee da loro presiedute possano fare scelte significativamente condivise.

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